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Miss Tabata

Quando vado a fotografare i mici, capita molto spesso, diciamo sempre, di essere circondati: c’è il set, le luci, il soggetto di turno, proprietari e assistenti che mi aiutano a intrattenere il peloso da fotografare con giochini e bacchette varie.
E poi ci sono gli altri. Per altri intendo la famiglia felina, che varia dai 2/3 elementi fino a una decina. Liberi di scorrazzare tutto attorno. E io ne approfitto per cercare di capire il loro carattere: c’è il timido, il fifone, quello che orecchie basse, occhioni spalancati e faccia da chicazzoseichecazzovuoi, l’indifferente, il letargico, il dubbioso e via elencando.
In un modo o nell’altro, riesco quasi sempre ad interagire con tutti ed è uno spasso ogni volta vedere le reazioni quando li metti sul set e cominci a farli giocare, per distrarli.
E’ anche faticoso perché non si tratta semplicemente di far giocare il micio, ma di gestire il gioco in modo tale da tenere il peloso nel punto del set in cui le luci sono ottimali, e di far sì che punti gli occhi sull’obiettivo.

Per ottenere il risultato, il modo migliore è far stare dietro di me qualcuno con una bacchetta lunga e un giochino sull’estremità, ottime le piume, e farlo picchettare sulla ghiera dell’obiettivo: il rumore e le piume attireranno l’attenzione del micio che guarderà in camera quel tanto che basta per far partire la raffica.

Detta così pare facile. Il più delle volte succede che:
1) Micio parte dritto per afferrare il giochino mentre tu sei lì che ancora cerchi il fuoco.
2) Pre-agganci il fuoco, micio si mette nella posa giusta ma l’assistente canna la bracciata e mi fa entrare il giochino nel campo visivo.
3) Io che a seconda di quanto son stanca o scoppio a ridere o tiro un accidenti e smetto di scattare, salvo poi prendere la bacchetta con la sinistra, calibrarla nel punto giusto e scattare con reflex nella destra.

Poi c’è l’imponderabile, perché coi gatti bisogna rassegnarsi: se ne inventeranno sempre qualcuna.

A questo giro l’imponderabile si chiamava Tabata.
Tabata che si lanciava dal divano sulla reflex per prendere la bacchetta.
Tabata che se non le facevi il grattino, si alzava in piedi modello suricati e con le zampine davanti ti picchettava sul ginocchio pretendendo attenzione.
Tabata che distraeva l’assistente facendo la smorfiosa e strusciandosi sulle sue mani, finendo per mettermi fuori uso l’assistente perché gli venivano gli occhi a cuoricino.
Tabata che zompava sulla sedia quando mi alzavo e puntualmente finivo per sedermici sopra, perché non mi accorgevo che era lì. E lei manco un plisset, scendeva e ricominciava da capo.
Tabata che durante la pausa mi si è piazzata in braccio e giù di fusa.
Insomma, una simpatia e una dolcezza uniche e che fatica non portarmela a casa…

 

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